Se la Nato sarà in grado di trovare il corretto equilibrio tra tutte le sue funzioni e operazioni, potrà proiettarsi nel Ventunesimo secolo come un soggetto vitale e sostenibile.
Altrimenti, rischia di non essere più in grado di svolgere un ruolo politico. In vista del prossimo vertice di Vilnius, si sta lavorando affinché la legittima attenzione sul versante est non faccia perdere di vista gli altri teatri e la capacità di operare a 360 gradi
MARCO PERONACI
Rappresentante permanente dell’Italia alla Nato
L’aggressione della Russia all’Ucraina ha dato il via a un periodo estremamente fluido nel sistema geopolitico globale in cui alla guerra vera e propria si affianca l’approfondirsi di faglie di crisi e l’emersione di una multidimensionalità mai sperimentata prima. La Nato ha ritrovato una centralità politica a cui corrispondono risorse crescenti che vanno gestite ad ampio spettro, con un immediato focus sul sostegno all’Ucraina, ma senza perdere di vista gli obiettivi di lungo periodo. Unità, prontezza, capacità di adattamento: valori di cui l’Alleanza ha dato prova mobilitando in maniera compatta il proprio sostegno materiale e politico all’Ucraina. L’Italia ha partecipato pienamente a questo impegno, nella consapevolezza che debba proseguire fintantoché sarà necessario. La guerra, ormai d’attrito, comporta un vasto consumo di materiali e mezzi che richiedono fondi e impattano sull’organizzazione delle industrie della Difesa. L’Alleanza non deve però dimenticare di guardare al quadro d’insieme. Con la consapevolezza che non sia sufficiente vincere la battaglia rappresentata oggi dalla crisi ucraina, ma che occorra anche vincere la battaglia di domani, ancora più complessa perché vedrà gli alleati affrontare temi quali l’accesso alle materie prime, la diversificazione energetica e la capacità di mantenere il vantaggio tecnologico. Il nostro Paese è in prima linea nello spingere la Nato a tener presente che la resilienza transatlantica si costruisce anche sulla capacità di essere efficienti nella prevenzione e nella gestione delle crisi, che figura al secondo posto tra i tre “core task” sanciti nel Concetto strategico di Madrid. È in questo ambito che si costruiscono e trovano traduzione operativa quei rapporti con i partner, in primo luogo l’Ue ma anche le Nazioni Unite, cui ci legano valori e interessi comuni. Essi sono determinanti per consolidare quella sicurezza cooperativa che costituisce il terzo compito essenziale dell’Alleanza. Se la Nato sarà in grado di trovare il corretto equilibrio tra tutte le sue funzioni e operazioni, potrà allora proiettarsi nel ventunesimo secolo come un soggetto vitale e sostenibile. Altrimenti, rischia di non essere in grado di svolgere il ruolo politico che ci aspettiamo anche come Italia, vista la centralità del nostro Paese nella Nato stessa e nell’Ue. Per questi motivi, in vista del vertice di Vilnius, stiamo lavorando ai diversi livelli affinché la legittima attenzione sul versante est non faccia perdere di vista il sud e il Mediterraneo allargato, dalla Mauritania sino al Golfo Persico. Un esempio positivo è l’operazione Nato in Iraq che va estendendosi a un vero e proprio partenariato proiettato alla riforma delle pratiche e delle strutture interne di sicurezza di quel Paese, con ricadute immediatamente positive per la sicurezza dei cittadini iracheni. Il caso iracheno è una prova concreta del tipo di lavoro che può svolgere la Nato; ed è significativo che vi sia un generale italiano, Giovanni Iannucci, alla guida dell’operazione. Il modello organizzativo dei nostri carabinieri costituirà un essenziale punto di riferimento.
In questa direzione vanno anche i progetti in Tunisia, in Mauritania, in Giordania e insieme all’Unione africana, nel quadro di un dialogo politico ancor più essenziale in questo momento storico.
Altro tema di interesse è la protezione delle infrastrutture critiche: gli ultimi 15 mesi hanno dimostrato che la resilienza delle nostre democrazie passa anche per la tutela dei nodi strategici. L’Italia ha grandi capacità da offrire anche nella cornice dell’acceleratore Diana e del Nato innovation fund, che ha nella propria cabina di regia anche l’ex ministro Cingolani, uno dei tre super manager del fondo. Le nuove sfide riguardano cyber, gestione dati, Intelligenza artificiale applicata alla Difesa, quantistica e tecnologie dirompenti. In una fase nella quale Nato e Ue lavorano entrambi al ripianamento degli arsenali (breve periodo) e agli incentivi per lo sviluppo dell’offerta (medio periodo), i temi dell’aggregazione della domanda, del mantenimento del vantaggio tecnologico e della promozione degli investimenti sugli abilitanti (“enablers”) e sulle catene produttive dei prodotti della Difesa (lungo periodo) devono essere affrontate in complementarietà tra le due organizzazioni. I primi risultati sono incoraggianti, in quanto la stragrande maggioranza dei progetti finanziati con il Fondo europeo per la Difesa, incorpora le priorità definite dalla programmazione Nato.
Investire per la Difesa nell’Alleanza significa certamente contribuire con le proprie forze agli assetti militari dispiegati sul fianco est, come in Bulgaria dove l’Italia opera da nazione quadro, e nelle operazioni di air policing lungo l’arco orientale e nel Baltico, ma significa anche la capacità di rimanere nel “gruppo di testa” degli innovatori. Su questo versante l’Italia sta lavorando molto, con un sistema funzionale anche in termini di coordinamento tra i diversi centri presenti nella penisola. Se consideriamo che il budget di ricerca e sviluppo per la Nato si è moltiplicato di otto volte, questo è un indicatore significativo. Le azioni messe in campo in queste aree con un forte protagonismo dell’Italia fanno sì che l’area transatlantica possa guardare con maggiore fiducia alle sfide del presente e a quelle del futuro, come quelle poste dall’ascesa della Cina e dall’impatto dei cambiamenti climatici sulla sicurezza.